Campo e vita: com’è cambiato lo sport negli ultimi decenni. Intervista a Giancarlo De Sisti

intervista giancarlo de sisti

Vorrei partire con una premessa, quella non si nega a nessuno.

Non sono mai stata una tifosa accanita e tanto meno un’appassionata di sport ma negli ultimi tempi mi è capitato di pensare a come sia cambiato il rapporto tra il pubblico e lo sport negli ultimi anni.

Certamente la scomparsa di eroi di un tempo come Maradona e Paolo Rossi mi ha fornito uno spunto di riflessione. Per citare il pirata e signore di Iglesiana memoria sono tornata “con il corpo e con la mente” ad un personaggio della mia adolescenza, un eroe che ai miei occhi coniugava: valori, passione, talento e molto altro. Questo eroe di altri tempi è Picchio De Sisti.

Ai tempi in cui io frequentavo il liceo era allenatore della Fiorentina e Claudia, la sua figlia maggiore, era una mia compagna di classe. Negli anni siamo rimaste in contatto e la scorsa estate, su esplicita richiesta di Marco, il mio compagno, irriducibile viola e come riportato sul suo profilo Facebook: “Avventista del terzo scudetto”, abbiamo passato una serata con Picchio.

Credo di non avere mai visto Marco tanto emozionato, e sono 20 anni che lo conosco, al cospetto di un campione assoluto e non solo per il secondo e ultimo scudetto della sua amata Viola. 

intervista picchio de sisti

Lo sport ieri e oggi

Ecco, non da tifosa ma da osservatrice durante la serata ho realizzato quanto sia cambiato il rapporto con lo sport sia per i protagonisti diretti che nella percezione dei tifosi.

Si è parlato di valori, spogliatoio, emozioni, etica e molto altro. Non erano i tempi dei calciatori dal fisico scolpito, uomini immagine per brand internazionali, non erano nemmeno i tempi del fantacalcio e della Pay tv. Era l’epoca degli uomini normali, tra talento e difetti, degli stadi pieni, del tifo e della squadra del cuore.

Non è mia intenzione attribuire valori di merito ad un’epoca che appartiene al passato, non è una questione di “era meglio o era peggio”, ma semplicemente di constatare che “era diverso”. Allora ho voluto chiedere a Picchio di fare una chiacchierata e sentire come, secondo lui, siamo arrivati a cambiare tanto. Per farlo ho chiesto supporto tecnico ad un amico Gabriele Fredianelli, giornalista sportivo, che ha dato il suo prezioso supporto in questa intervista a 3 voci.

intervista picchio de sisti

Due chiacchiere con Giancarlo De Sisti

D: Ciao Giancarlo, che ne dici facciamo due chiacchiere? Il “la” me lo ha dato la scomparsa di grandi campioni cari all’immaginario anche dei non tifosi come me: Maradona, Pablito Rossi.

PD: E aggiungo anche Maraschi, ma che vuoi la risonanza mediatica ormai colpisce e affonda, non ne ha parlato nessuno.

D: Dal mio osservatorio mi rendo conto che è cambiato tanto. Maradona ebbe gli occhi del mondo addosso grazie al suo talento, Paolo Rossi ci fece sognare in quel 1982, ma erano uomini imperfetti e proprio questo li rendeva eroi moderni, erano esseri umani, un mix tra talento e fragilità. Oggi se guardo Ronaldo vedo un Brand che non mi emoziona. Cosa è cambiato e quando?

PD: I social sono un elemento decisivo rispetto ad allora, sembra che l’attenzione ad apparire e a come si sta davanti ad una telecamera sia più importante che non potenziarti nel tuo lavoro. Esisteva ordine e rispetto dei ruoli, nessuno si permetteva di contestare l’allenatore, o di rifiutare e ciò che gli veniva chiesto di fare , non solo dall’allenatore ma anche dai suoi delegati. Il calcio cambia continuamente e se oggi il paragone è tra Ronaldo e Messi, alla fine vince più l’immagine della tecnica. I like e i followers, si dice giusto? Battono il talento.

D: Cosa intendi per talento?

PD: Io ricordo Pelè nel ’70 fu idolo assoluto di quei mondiali, vent’anni dopo Maradona, oltre a quello che ha fatto a Napoli, fece vincere l’Argentina praticamente da solo. Ma giocavano anche l’attaccamento alla maglia, la sacralità dell’orario delle partite, il rapporto tra il pubblico e il proprio idolo. Ora i media sono l’occhio segreto che spia più fuori che dentro al campo.

D: Ma il problema non saranno solo i social?

PD: No certo, noi però ci occupavamo più di… sociale.

D: Raccontami.

giancarlo de sisti si racconta

PD: Ricordo quando nel ’68 con Rivera, Mazzola, Bulgarelli e altri iniziammo la battaglia per la tutela dei diritti dei giocatori attraverso la nascita dell’Associazione Nazionale Calciatori. Ci battemmo fino a minacciare lo sciopero pur di ottenere un riconoscimento che fosse un interlocutore in grado di dialogare con Federazione e Leghe e con la rappresentanza diretta degli interessati: i calciatori.

D: Cosa è successo poi?

PD: Tante cose, te pensa che allora un calciatore di serie A se non riusciva a giocare un certo numero di partite rischiava di non far scattare l’ingaggio, i contratti erano ad un anno. Ne sono successe di cose.

D: Ora una lettura che si avvicina alla mia sfera. Tu hai un nipote che ancora sta giocando a calcio: da osservatore esterno cosa è cambiato da quando avevi la sua età? Mi riferisco anche al contesto intorno ad un ragazzo che ha la passione del pallone.

PD: Prima non c’era la scuola calcio, io vivevo al Quadraro e giocavo nel campo della mia parrocchia, avevo 13 anni.

D: Che ruolo hanno avuto i tuoi genitori?

PD: Mia mamma mi pagava un panino con lo stracchino, mi piaceva tanto, e quando uscivo dal campo mi fermavo a mangiarlo, poi si arrabbiava perché quando tornavo a casa ero sudato e sporco. Mi ricordo che ad un certo punto prese a bucarmi il pallone, papà me lo ricomprava e lei lo ribucava. Allora papà mi disse: speriamo si stanchi prima lei perché mi sta costando una fortuna. Mamma allora gli disse “portalo dove ti pare, basta che sia un posto dove di possa fare la doccia”.

D: E lo trovasti?

PD: Papà mi portò ad una succursale della Roma, mi tesserarono subito. Dopo 6 mesi sono andato alla Roma, dopo 4 anni giocavo in serie A.

D: Quindi i genitori non ti accompagnavano e dialogavano con l’allenatore?

PD: E chi ti accompagnava? Io sono del ’43, ho iniziato a 13 anni quando eravamo ancora nel dopoguerra, i miei dovevano pensare a lavorare.

D: Prima hai detto che non c’era la scuola calcio, che cosa vuol dire?

PD: Che ora anche se non hai i requisiti ma paghi puoi stare in campo. A quei tempi c’erano le Leve: ti facevano i provini, se piacevi ti facevano tornare sennò ti dicevano “ti faremo sapere”.

D: Cosa è successo quando hai iniziato a diventare il campione che sei stato?

PD: Che ho fatto? Hanno iniziato a pagarmi per fare qualcosa che mi piaceva e quali sacrifici ti venivano chiesti? Stare in forma, mangiare in un certo modo, allenarti fino al tuo limite e recuperare. Mi sembrano fattibili rispetto a chi i sacrifici li fa davvero.

D: Hai detto “recuperare”, quindi era qualcosa che veniva imposto?

PD: Se non recuperi… oggi lo so che la velocità sembra un valore. Ad un certo punto in campo tutti volevano andare più veloci a discapito della tecnica, che è amica della corsa ma non patrimonio di tutti. Se non ti fermi mai come fai a capire dove vuoi andare? Andando troppo veloce non c’è il tempo per pensare. E poi se da Roma a Firenze ci metto un’ora e mezza o due ore, cambia qualcosa?

intervista a giancarlo de sisti

D: Torniamo a quando vai a vedere tuo nipote. Cosa vedi?

PD: Non sempre cose che piacciono. Anche lì vedo che chi ha più tecnica e meno velocità gioca meno di chi è più veloce ma ha poca tecnica. In pochi hanno la sensibilità per stare con i ragazzini, se non si parla con le emozioni il ragazzino non ti segue: è un modo di essere che devi avere nelle tue corde per poter insegnare anche il rispetto per l’avversario, per il pubblico.

D: Grazie Giancarlo, è stata una bella chiacchierata, ho un sacco di spunti per i miei prossimi post: social vs sociale, velocità vs talento, il valore di fermarsi…

E ora la domanda di rito: Pelè o Maradona?

PD: Sono uomo di altri tempi e i miei idoli non li cambio. Per me Pelè è campione nei secoli!

C’è qualcosa che vorresti chiedermi?

Vorresti saperne di più sugli obiettivi che puoi raggiungere e sul percorso che possiamo fare insieme?