C’è verità e verità

In una serata casalinga di fine agosto, con un tasso di umidità percepito del 102%, scopro un film con Ricky Gervais, “Il primo dei bugiardi”.
Una commedia minore, che con tutta probabilità non sarà destinata ad entrare nella storia del cinema. In ogni caso mi predispongo alla visione senza altre distrazioni: niente pc o cellulare, decido di guardarlo “in presenza” e questo mi ha dato modo di cogliere molti spunti di riflessione.
Uno su tutti: l’importanza e il significato soggettivo della verità.

Un mondo senza bugie e senza empatia

In breve, il film racconta di un mondo in cui non esiste il concetto di bugia, di conseguenza non esiste né la diffidenza né il senso critico.
Non esiste la religione, i politici e la pubblicità raccontano esclusivamente la verità, le persone dicono crudelmente quello che pensano e credono a qualunque cosa venga loro raccontato.
La storia racconta di una società priva di empatia, incentrata sul giudizio e sull’etichettatura delle persone, incurante di poter ferire.
Le relazioni sentimentali cercano le proprie basi sulla qualità del corredo genetico sia come status che in funzione procreativa.
Si procede per definizioni, aggettivi e giudizi, con una tale enfasi, ferocia e assiduità da perdere ogni valore soggettivo, finendo così per etichettare l’altro a vita.
Il concetto di verità assume quasi la forma di una mazza da baseball pronta a colpire chiunque, indiscriminatamente, con spietata crudezza e perfidia.

La scoperta della verità soggettiva

Tutto inizia non appena Mark, il protagonista, senza neanche sapere come pronuncia la sua prima bugia e poi una seconda e un’altra ancora…
Senza saperlo, Mark ha dato il via al proprio cambiamento, quello che potremmo definire “percorso di crescita personale”. Si trova così al centro dell’opinione pubblica mondiale spaventata e contemporaneamente incuriosita nel trovarsi davanti qualcuno talmente diverso da non poter essere neanche etichettato.
Grazie a questa trasformazione vengono progressivamente introdotti i principi di empatia, amore, amicizia, gentilezza e giustizia ma ovviamente trovano spazio anche avidità, sete di potere, riscatto e vendetta.
In seguito all’“involontario” scardinamento dei vecchi schemi che regolano la verità collettiva, Mark scopre la sua personale verità, quella soggettiva, quella che ci rende umani, consapevoli dei nostri difetti e delle nostre potenzialità, che mostra la nostra unicità, ciò che spesso spaventa a morte “gli altri”.

Attraverso il proprio cambiamento, disinnescando un automatismo consolidato, il nostro protagonista avvia inevitabilmente un effetto anche su chi lo circonda.

Imparare a parlarsi

Le parole che fino a quel momento erano state lanciate come pietre nell’indifferenza delle possibili conseguenze, assumono un valore e diventano una scelta.
Il cambiamento è un passo che ognuno di noi è libero di fare o meno ma nel momento in cui se ne sente l’esigenza, lo si percepisce chiaramente come un’onda che ci spinge con forza ad esplorare il nostro mondo interiore e con determinazione nel riconoscere ciò che ci fa stare bene o al contrario risulta tossico.
Tutto scaturisce da un atto d’amore profondo verso se stessi (nel caso di Mark è tranquillizzare la madre in punto di morte). Ed è così che si impara a parlarsi con la stessa gentilezza, comprensione ed empatia che useremmo nei confronti di una persona a noi particolarmente cara e che mai vorremmo fosse ferita a causa nostra e delle nostre parole. Si riesce così ad andare oltre l’urgenza di comunicare la nostra verità, anche la più dolorosa.
Per qualunque relazione sana la lealtà nella comunicazione è molto lontana dal rovesciare sull’altro il carico emotivo delle nostre istanze. Per essere veri ed efficaci è necessario fare un passaggio di responsabilità sulle conseguenze di quanto diremo.
Se vuoi intraprendere un percorso di orientamento personale, contattami.

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